Nutro, nel caos di immagini attuale, una certa nostalgia per i reportage giornalistici del secolo scorso, quando era indispensabile riprodurre la sensazione visiva con le parole; anni in cui le foto erano costose e anche le illustrazioni non erano disponibili per tutti i pezzi dati alle stampe.
È una sensazione che ho provato davanti a Il maiale (tratto dalla serie le crocifissioni) ultima opera di Adriano. Certo la foto la alleghiamo, ma provate a descriverla, cercate di mettere in parole lo scambio sanguinolento di costole tra bestia, uomo e spettatore. Oppure, come in un gioco tridimensionale, immaginate che la figura umana sia stata strappata dalla carcassa appesa e ruotata di 180 gradi. Forse per questo resta lì seduta, privata di autonomia, come se il legame carnale col gemello siamese appeso al soffitto del gelido attico-mattatoio non le concedesse che di rimirarlo all'infinito. È un'opera che trasmette il senso dell'attesa. Sebbene il dolore e la tensione siano palpabili, è come se il tempo trascorso li avessero in qualche modo mitigati, resi statici. I colori contribuiscono, dal vivo sono differenti da quelli che si vedono in fotografia, più spenti: il pavimento è quasi marrone, come il sangue rappreso, il soffitto, apparentemente bianco, tende a un grigio industriale anni cinquanta. Le finestrone urlano immobili l'impossibilità di essere aperte: l'assenza di maniglie e di meccanismi di apertura, volute o meno, sono efficacissime nel rendere il senso di prigionia immobile cui le figure e l'occhio di chi guarda sono condannati.
La descrizione che avete letto ha il solo compito di spingervi a venire a visitare l'opera dal vivo presso Casa Là farm gallery, solo su appuntamento, e-mail: noncresco@gmail.com
Sandro Fracasso