Una svolta c'è e, anche se seguendo il lavoro di un'artista quotidianamente può sembrare evidente il motivo di un cambiamento, perdersela è criminale.
Con Changes le figure di Irene Raspollini mutano di soppiatto, lontanamente e a uno sguardo veloce le quattro protagoniste possono ricordare il lavoro di Marjane Satrapi, eppure le loro radici si direbbero ben più italiane. A chi non conosce il lavoro della Satrapi son venute in mente subito figure sarde. La metamorfosi non è completa: le guance rosse che contraddistinguono le figure femminili di lavori precedenti dell'artista sono sfumate, come dopo una doccia fredda. La cornice di Changes è classica sebbene di recupero e dona un'atmosfera spagnoleggiante; la sensazione è accuita dal supporto in cartone fissato con chiodi a vista sul telaio. Odora, il tutto, di un tempo passato ben superiore a quello realmente trascorso dalla realizzazione. Insomma sin dalla struttura di base sin intuisce che ciò che appare spesso non è. Le due coppie di donne sono identiche, clonate, plagiate; il cambiamento è fittizio il titolo raggira come l'educazione. Il ti voglio far crescere libera e indipendente nasconde l'inganno dell'immatricolazione conforme. Il merlo che aleggia impassibile tra le due coppie è un surreale rigido e senza vita, un volantino di legno di pero intagliato a coltello e colorato con perizia.
Ne esce una fissità disarmante e inquietante che ribalta quel bisogno di cambiamento che spesso non è altro che triste, disperata, autocommiserazione.
Avitaminosi è a suo modo un passo indietro, ritorna la base di legno con
appiccicati brandelli di carta da disegno a far da supporto, la cornice è di scampoli di lana cuciti e inchiodati, anche qui le guance rosse però sono un ricordo. Si parte da uno dei periodi più controversi della nostra storia: il ventennio. Le colonie marine che invasero entrambe le coste italiane furono occasione per gli architetti razionalisti di libere e ricche commissioni, ma soprattutto offrirono la possibilità di realizzare opere monumentali senza alcun vincolo, se non quello funzionale. L'autrice le ammira ammantandole di una veste sfumata, colta durante una lieve tempesta di sabbia che ben imita l'agire del tempo. Quei luoghi raccoglievano migliaia di ragazzi delle classi meno abbienti, offrendo pasti di 2000 calorie, sole e mare, in cambio di omologazione, sudditanza ideologica, fede incrollabile. Dove sono finiti i giovani soldati? Alla domanda risponde l'abbandono della colonia, evidente nel quadro, agli eventi storico-atmosferici. Eppure una figura umana c'è ed è in contrasto. Partiamo dal dire che a legarla con l'ambiente circostante è solo quella patina giallastro-malaticcia che le ricopre le guance e l'accomuna allo sfondo, al terreno, all'edificio. Per il resto niente, trascina un moderno trolley, indossando un abito che ricorda molto da vicino quello delle sue compagne di tela in Changes. È una divisa inglese rivisitata con tanto di tacchetto e magrezza modaiola stile secolo scorso in evidenza, ma si potrebbe pensare a un riferimento a certi regimi omologanti del Medio Oriente. Che vi sia un parallelo spazio temporale, con nota comune la privazione di libertà? Non c'è che da chiederlo direttamente all'autrice nonché art director di Casa Là farm gallery (su appuntamento via e-mail: noncresco@gmail.com)
Sandro Fracasso