La scultura microrganica nasce da chi ha saputo attraversare i boschi con la passione sfrenata di poterlo fare, senza doverci sudare la pagnotta. Il movimento in nuce ha origini nel settecento, con i viaggi frenetici di artisti verso l’Italia dalle fredde regioni europee. A differenza dell’ossessiva orda di pellegrini, erano di certo ben più disposti ad osservare le venature della natura ad ogni passo, ne nascevano poesie, quadri, a volte solo sogni tormentati. Di seguito la vicina corrente neopanteista andrà a suggerire la presenza di un dio multiforme, che impone un tributo naturalistico rispettoso e cruciale.
La scultura di allora era ben lontana dal riconoscere il primato della natura, si limitava a riprodurla al meglio. Di certo saper scolpire implica un’esperienza tecnica incredibile per gran parte delle arti, ma il fine può essere profondamente difforme; se è il bello ce ne sono esempi enormi e imperturbabili a vista d’occhio, molti con radici.
Quando la scultura microrganica nasca lo lascio a chi non è allergico agli archivi, cosa sia veramente va disambiguato. Prima di tutto la materia su cui si lavora deve essere morta. Si tratta di pietra e legno in prevalenza, abbandonati, riversi, ricoperti, riscoperti durante un’escursione a piedi, non su indicazione, ma come oggetto di una estenuante ricerca fisica. Si debbono raccogliere a mano e condurre con le proprie forze verso la propria casa.
Non c’è studio per lo scultore microrganico, qualunque asse fa da base per il lavoro, gli scalpelli sono economici e rudimentali. Nessun ausilio motorizzato, solo mazzuolo e acciaio, colpi necessari. Pulitura, interpretazione della forma, critiche, sorrisetti e foto sono cose successive e futili.
In questa forma di scultura chi opera ritrova un senso in ciò che già c’è, è quindi un osservatore prima di tutto e poi un artigiano, un faticatore, dedito al sudore e alla consapevolezza della sua finitezza estetica.
Sandro Fracasso